Marco Palladini, recensione a La manutenzione della meraviglia di Tiziana Colusso, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2013
“Diari e scritture di viaggio” è il sottotitolo di questo libro in movimento che si sposta in molti luoghi in un ampio arco temporale che va dall’inverno 1981-’82 trascorso a New York nel mitico Chelsea Hotel cantato da Leonard Cohen, fino alla primavera 2013 ritrovandosi a Malta, al centro del Mediterraneo, per un convegno internazionale di scrittori promosso dallo European Writers’ Council. La Colusso è una viaggiatrice indefessa e solitaria e che nei siti isolati che volentieri visita ed esplora cerca una condizione e una cognizione del dolore di vivere, dove emergono le sue contraddizioni esistenziali, le sue nevrosi, le sue allergie (per esempio alla famiglia e alle storie sentimentali), ma anche le sue passioni, le sue debolezze e predilezioni. Da praticante buddhista l’autrice intende il viaggio pure come una forma di estraniamento e di meditazione, una dislocazione extra-ordinaria del soggetto dove far emergere uno sguardo altro, stuporoso, sottilmente depurato. L’apice allora è l’approdo nell’estate del 2009 presso il Village des Pruniers, il villaggio creato dal maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh nella campagna francese nei dintorni di Bordeaux, per un soggiorno spirituale, di ritiro meditativo, scandito da orari e rituali ferrei, e dove vige aurea la regola del silenzio. È nel monastero buddhista che il viaggio esterno e quello interno finiscono per coincidere, per regalare momenti di beatitudine, di bellezza e di calma interiore, testimoniate dalla sequenza di fotografie che espandono il testo scritto. È qui il punctum del libro, avrebbe detto Roland Barthes, il punto di verità di un attitudine a viaggiare anche o soprattutto per ritrovare se stessi.