La manutenzione della meraviglia di Tiziana Colusso (Stampa Alternativa, 2013) è un libro di viaggi tutto speciale; e tanti sono i segni particolari che lo identificano, e tanto rilevanti, che non è ipotesi affatto peregrina che possa costituire un punto privilegiato d’osservazione e di riflessione sul genere letterario al quale d’abord è riferibile. Si dica, frattanto, che il titolo, una scelta felicissima, ha fascino ed efficacia grandi.
Come di norma nei diari e nelle scritture di viaggio (essi che danno il sottotitolo, con funzione esplicativa e insieme attributiva), l’attenzione per i dettagli, la ricostruzione per brevi panoramiche del contesto, l’esercizio puntuale ed acuto di un occhio che seleziona, coglie ed evidenzia sono modalità e componenti che qui si ravvisano con nettezza, frequenti; molto più raro – e della Manutenzione della meraviglia, invece, questa è l’impronta, il proprio dell’identikit – appare il concorso sinergico di taluni fattori che è corretto annoverare tra i moventi e che dell’opera di Tiziana Colusso sono al contempo attivi principi metabolici.
Il primo. Accade non di rado che sulle pagine di Tiziana Colusso il viaggio si trovi documentato in un apposito resoconto e che sia rincalzato, però, da un viaggio secondo, viaggiato sugli stessi luoghi, che pure è dedicatario di sue specifiche note. I due testi a fronte, integralmente preservati nella loro individualità, perciò negati ad una riformulazione sintetica e unitaria, slargano di necessità visuali in qualche misura sfalsate, diverse; e dunque offrono conferma che non c’è viaggio che non sia nuovo, che non c’è terra – anche reincontrata – che non ci sembri, viaggiando, di vedere per la prima volta in tutto o in parte: si ha chiaro, infine, perché, così che si staglia da parola-chiave nel titolo, se ne ottenga meraviglia, la meraviglia essendo legata a quel che ci si mostra inaspettato, imprevisto, e perché, nel viaggio che dà meraviglia e nel libro di viaggi che della meraviglia è una manutenzione, la memoria ha peso e significato e pure deve essere messa in questione, in movimento, ovvero si dà per accompagnarsi indissolubilmente alla smemoratezza, che di suo è incentivo al viaggio ed è disposizione a saper vedere per la prima volta. Chi volesse, facendo leva sulla Manutenzione della meraviglia potrebbe trarne occasione per qualche considerazione aggiuntiva sulla memoria, sulla fondatezza e sul valore propulsivo del suo implicarsi dialettico con ciò che memoria non è. E potrebbe cavarne qualche utile conclusione circa il costituirsi di una vera interculturalità su questo dialettico terreno di impianto, non mai su altri. Ma è cosa che non si contiene, evidentemente, nelle misure convenienti alle nostre postille.
Il secondo. Si tratti di personaggi o di luoghi, di contesti o di situazioni, Tiziana Colusso accorda le sue preferenze ai margini, ai marginali e non manca di seguirne i percorsi. Un tale orientamento ottiene una serie di interessanti risultanze. Quella, la più scontata, per cui il viaggio scantona, ideologicamente prim’ancora che geograficamente, da qualunque circuito consigliato dalla globalizzazione a deputazione turistica, secondo vuole il villaggio – sempre e dovunque more turistico: sempre sotto ipoteca di una volgare desolante falsificazione – globale, e d’un subito segue altre rotte. Quella, che è un evidente corollario, per la quale sono i luoghi a soppiantare, per La manutenzione della meraviglia, i non luoghi da cui siamo assediati e che spesso abitiamo. Quella che discopre – solo dai margini è possibile – il non visto, il rimosso dalle convenzioni e dal potere, l’inusuale, l’irriducibile al dominio del senso comune. Quella che – giusto una tenace filosofia del decentramento può così decretare – revoca le gerarchie consuete: il centro sopra i margini, il bello convenuto sopra il brutto (per oscurarlo, per tacitarlo), l’accreditato alla borsa della tradizione sopra quanto, sua sponte o no, recalcitra, l’esotico sopra il quotidiano (e infatti anche le tratte del pendolare sono portate in scena lungo quest’opera). Insomma, qui quello del diario e delle scritture di viaggio (che sono più di un semplice diario e di semplici scritture di viaggio) è uno sguardo “democratico” – in sé, nelle sue modalità, specificamente politico – e l’occhio, in ciò una sorta di terzo occhio, “intravede” ossia vede tra le cose, si infila negli interstizi, saggia la filigrana, esplora il controluce. Che è, l’intravedere, condizione propizia al narrare: sempre implicitamente, talora palesemente le note di viaggio di Tiziana Colusso respirano aria di racconto aprendo le finestre del genere al quale può essere riferito d’abord questo libro di viaggi.
Il terzo. Il pretesto per il viaggio, nove volte su dieci, è dato dall’attività professionale. Gli appunti sono raccolti a margine di essa: un incarico di ufficio stampa, la promozione da contratto di un grande evento, la partecipazione ad un reading, ad un convegno, ad una esperienza creativa e ad un confronto con altri scrittori in un “ostello” della letteratura. Che queste circostanze restino magari sullo sfondo, e che comunque abbiano, appunto, natura di pretesti per lo sguardo che si porta ai margini e intravede, non toglie che ad esse si leghi un desiderio, forse un’utopia, che rafforza la scelta di sequenze decentrate, di taglio “periferico” e “democratico”, narrativo; e dico soprattutto degli appuntamenti internazionali finalizzati ad una libera pratica della scrittura e ad una verifica comunitaria delle poetiche. L’idea che queste iniziative (nel nostro bel paese rarissime per non dire assenti, così come sono fantascienza, da noi, le case degli scrittori) possano essere più diffuse e meno sporadiche accompagna un modello di socialità partecipata e di convivenza che si profila all’orizzonte della Manutenzione della meraviglia: sostanziata di utopia, l’idea che, contro una stordente globalizzazione fondata sulla incultura delle apparenze e sul consumo, la meraviglia si ripristini e abbia corso e penetri capillarmente anche attraverso idonei programmi esecutivi: la meraviglia, la cui manutenzione passa attraverso la creatività in esercizio, le culture in dialogo, la libertà di una espressione piena non più soffocata e negletta come tutto ciò che non ricade immediatamente nel dominio dell’economico.
Il quarto. In perfetta sintonia con il riconoscimento delle potenzialità aprenti e della promesse de bonheur contenute nella scrittura letteraria, le note di viaggio di Tiziana Colusso ospitano riferimenti, citazioni d’autore, dispositivi d’analisi; e percorrono in parallelo, intravedendoli o lasciandoli bene in vista, frammenti delle opere poetiche e narrative da lei scritte o da lei progettate. Un confronto sotto il cui segno il viaggio in orizzontale in terre vicine o lontane, tenendo accosti i margini, si conduce in contemporanea, per flash e ancora per sguardi dalle periferie, con il viaggio verticale fra i suoi testi.
Il quinto. Come suggerisce la proiezione fuori dai territori stretti della letteratura, propria elettivamente dei libri dei viaggi, ma stavolta speculare ad un reingresso nella pratica letteraria funzionalmente determinata, nonché ad una rivisitazione dei suoi portati e dei suoi ambiti, e come è nella tradizione delle scritture al femminile qui però usate per essere dirottate e indirizzate altrove, verso altri territori di genere, i viaggi viaggiati nella Manutenzione della meraviglia hanno pertinenza con i baedeker in interiore homine e quindi implicano che si rifletta a più riprese sul senso e sul perché del viaggio, dei viaggi. Il senso ed il perché stanno forse nella ricerca di una identità, quella che richiede atti di certificazione e per cui si esplorano mappe e si inseguono in lungo e in largo e si provano solidi ancoraggi ad un possibile ubi consistam: «Sarà perché non ho un luogo mio, e mi aggrappo ad ogni occasione, sia pure minima e transitoria, che mi dia la sensazione di una qualche continuità spazio-temporale della mia esistenza, una parvenza di patria e di radice»? Epperò, se la meraviglia è risorsa straordinaria alla quale non si può rinunciare e se di essa va curata senza risparmio la manutenzione, l’identità è una cosa sola con il viaggio stesso, con i suoi sentieri ininterrotti. Per tutti, qualunque sia il viaggio.
Marcello Carlino